LA RIMA



TIPI DI RIMA

La rima rappresenta uno degli elementi danno musicalità al testo poetico perché contribuisce a scandire il ritmo del componimento e stabilisce rapporti fonici tra parole diverse.
La rima consiste nell’identità di suono, a partire dall’ultima vocale accentata, in 2 parole, solitamente a fine verso. Es.:

  • Saltàre e ballàre ⇒ rimano
  • Temère e prèndere ⇒ non rimano, perché pur terminando entrambe in ere, non hanno gli stessi suoni dopo l’accento tonico.

Schema delle rime

Per indicare lo schema delle rime si adoperano le lettere dell’alfabeto. Con la stessa lettera si indicano i versi terminanti con la stessa rima, con una lettera diversa quelli terminanti con una rima differente.
Se nello stesso componimento vi sono sia versi lunghi che brevi, generalmente per i versi compresi tra l’ottonario e l’endecasillabo si usano le maiuscole (A, B, C,ecc.) mentre per quelli compresi tra il ternario e il settenario si usano le lettere minuscole (a, b, c, ecc.).

Rima baciata

quando 2 versi consecutivi rimano tra loro:

O cavallina, cavallina storna A
che portavi colui che non ritorna A

(Giovanni Pascoli, La cavallina storna, vv.11-12)


Rima alternata

quando i versi pari e dispari rimano tra loro; quindi il I verso lega con il III e il II lega con il IV e così via :

Forse perché della fatal quiete   A
tu sei l’imago, a me sì cara vieni  B
o sera! E quando ti corteggian liete A
le nubi estive e i zefiri sereni B

(Ugo Foscolo, Alla sera, vv.1/4)


Rima incrociata o chiusa

il I verso rima con il IV ed il II con il III :

Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono A
di quei sospiri ond’io nudriva ‘l core B
in sul primo giovenile errore B
quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono A

(Francesco Petrarca, Canzoniere vv.1/4)


Rima incatenata o terza rima o rima dantesca

lega tra loro, in una specie di catena, le strofe di tre versi (terzine) à il I verso rima con il III; il II con il I e il III della terzina successiva, e così via:

                                                                                                     
Nel mezzo del cammin di nostra vita A
mi ritrovai per una selva oscura,  B
chè la diritta via era smarritaA

                                                                                   
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura   B
esta selva selvaggia ed aspra e forte    C
che nel pensier rinnova la paura!   B

                                                                                    
Tant’è amara che poco è più morte;   C
ma per trattar del ben ch’io vi trovai,  D
dirò dell’altre cose ch’io v’ho scorte.C

(Dante Alighieri, Divina commedia, Inferno, I, vv.1/9)


Rima invertita

quando le rime si susseguono a tre a tre in senso inverso (ABC-CBA o ABC-ACB):

(l’acque)
cantò fatali, ed il diverso esiglio,
A
per cui bello di fama e di sventura B
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse. C

Tu non altro che il canto avrai del figlio, A
o materna mia terra; a noi prescrisse  C
il fato illacrimata sepoltura. B

(Ugo Foscolo, A Zacinto, vv.9/14)


Rima interna

quando almeno una delle due parole che rimano tra loro è interna al verso:

Ma la balbuzie non basta
e se anche fa meno rumore
è guasta lei pure…

(Eugenio Montale, Incespicare, vv.5/7)


Rima al mezzo

quando la rima interna coincide con la cesura del verso cadendo a metà verso (ala fine di un emistichio):

Passata è la tempesta,
odo gli augelli far festa, e la gallina,
tornata in su la via,
che ripete il suo verso.

(Giacomo Leopardi, La quiete dopo la tempesta, vv.1/4)


Rima ipermetra

quando una parola piana (accento sulla penultima sillaba) rima con una sdrucciola (accento sulla terzultima) e la sillaba in più viene computata nel verso seguente o tagliata (eliminata dal conteggio):

E quella infinita tempesta,
finita in un rivo canoro.
Dei fulmini fragili restano
cirri di porpora e d’oro.

(Giovanni Pascoli, La mia sera, vv.17/20)


Versi sciolti

quando i versi sono versi liberi, cioè non sono legati da alcuno schema di rima e le rime vengono distribuite liberamente in base alle esigenze espressive o ritmiche. Questo tipo di verso cominciò a fiorire nel Cinquecento (in particolare l’endecasillabo) come imitazione della poesia classica che non conosceva la rima come elemento conclusivo del verso, ma entra effettivamente in uso nell’Ottocento con Leopardi e si afferma soprattutto nel Novecento con Gabriele D’Annunzio.

Se il suono tra 2 o più parole non è perfettamente uguale si ha la rima imperfetta o quasi rima. Si distingue tra assonanza e consonanza.


ASSONANZA

è la ripetizione, a partire dalla vocale accentata di vocali identiche ma diverse consonanti:

Come i giri di ruote della pompa.
Un giro: un salir d’acqua che rimbomba.

(Eugenio Montale, Casa sul mare, vv.5-6)


Il vento soffia e nevica la frasca.
e tu non torni ancora al tuo paese!
Quando partisti come son rimasta!

(Giovanni Pascoli, Lavandare, vv.7-9)


CONSONANZA

è la ripetizione, a partire dalla vocale accentata di consonanti identiche ma diverse vocali:

…traversando l’alte
nebulose; hai le penne lacerate
dai cicloni, ti desti a soprassalti.

(Eugenio Montale, Ti libero la fronte dai ghiaccioli, vv.2/4)


E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia

(Eugenio Montale, Meriggiare pallido e assorto, vv.13-14)