L’INCONTRO TRA DON RODRIGO E FRA CRISTOFORO



Trama

L’incontro tra don Rodrigo e fra Cristoforo viene descritto nel VI capitolo dei “Promessi sposi” e rappresenta uno dei momenti più drammatici e una delle scene di più fine analisi psicologica dei personaggi.
Fra Cristoforo si reca nel palazzo di don Rodrigo per affrontarlo e farlo desistere dalle sue mire su Lucia. Don Rodrigo sta banchettando con i notabili del paese, invita quindi fra Cristoforo a seguirlo in un’altra sala. I due antagonisti sono in piedi l’uno di fronte all’altro e, come in una sorta di duello, alternativamente, vanno all’attacco o stanno in difesa, sia con gli atteggiamenti che con le parole.
E’ un crescendo, il colloquio inizia con toni pacati ma presto degenera  e si conclude con don Rodrigo che intima a fra Cristoforo di lasciare il palazzo.
Nonostante sembri che, in apparenza, ad uscirne vittoriosa sia l’arroganza di don Rodrigo, il reale vincitore dello scontro è fra Cristoforo che riesce a dominare l’istintiva reazione alla prepotenza e all’arroganza del signorotto ed ha recuperare la pacatezza e l’ autocontrollo che si addice ad un cappuccino, opponendo in tal modo la visione cristiana al mondo di prevaricazione che caratterizza l’aristocrazia dell’epoca.


L’importanza della gestualità

In questa scena la gestualità dei personaggi è di grande rilevanza.
Davanti a don Rodrigo che fieramente troneggia in mezzo alla sale, sicuro ed arrogante, il primo gesto di fra Cristoforo consiste nello scorrere tra le mani il rosario, cercando in tal modo di trovare la moderazione e il controllo necessari per affrontare un simile confronto. Il rosario diventa anche lo strumento con cui egli ricorda al suo arrogante interlocutore, mostrando il teschietto di legno, il destino mortale dell’uomo e la brevità della vita umana.
Il linguaggio gestuale svela l’alternarsi dei sentimenti, che vanno dall’umiltà iniziale con cui fra Cristoforo si pone “con gran rispetto” davanti a don Rodrigo, che sta per abbandonare la sala, alzando le mani “come per supplicare e per trattenerlo”, all’indignazione, dovuta all’indecente proposta di don Rodrigo di offrire protezione a Lucia, espressa alzando la mano sinistra con l’indice accusatorio teso che minaccia la punizione divina (scena che nel cap. XXXIII verrà rievocata nel sogno do don Rodrigo malato di peste). Il frate lascia, per un momento, traboccare l’imperiosità del suo carattere a scapito dei “bei proponimenti di prudenza e di pazienza” che si era imposto. La reazione di don Rodrigo gli fa riprendere immediatamente il controllo ed egli “ritirata placidamente la mano dagli artigli del gentiluomo, abbassò il capo e rimase immobile”.
Anche don Rodrigo usa un linguaggio gestuale molto esauriente nell’illustrare il personaggio che va dall’atteggiamento di sicurezza ostentata, con cui all’inizio dell’incontro si pone nel mezzo della stanza, all’inquietudine espressa nel momento in cui cerca di andarsene dalla stanza e quando afferra la mano del frate, allarmato dalla predizione del cappuccino. Il terrore dell’aldilà e del giudizio divino lo scuote a tal punto da indurlo a coprire il religioso di insulti, definendolo “poltrone incappucciato” alludendo al fatto che i religiosi non lavorano e vivono di elemosine, “villano rincivilito” perché di origini borghesi e non nobili.
L’ultima scena in cui don Rodrigo rimane furioso a camminare avanti e indietro nella stanza sottolinea l’irrazionalità del personaggio dominato dagli istinti passionali.


Il linguaggio

Parallelamente alla gestualità procede il linguaggio. Fra Cristoforo usa un linguaggio dal tono predicatorio caratterizzato da molte citazioni bibliche. Don Rodrigo passa dall’iniziale affettazione e ossequiosità agli insulti espliciti nel finale.
Durante il colloquio, nella fase più accesa, il passaggio dal lei al voi di fra Cristoforo e di don Rodrigo che passa al tu, segna un cambiamento nei rapporti di forza. Il voi del cappuccino mira a stabilire un rapporto non più tra pari ma tra superiore, la voce del Signore che tramite fra Cristoforo ammonisce il peccatore, e inferiore. Il ricorso ad un tu sprezzante da parte di don Rodrigo sottolinea la volgarità e la prepotenza del personaggio.


Don Rodrigo

Don Rodrigo è il malvagio della vicenda. E’ un signorotto, piccolo nobile di provincia, che vive di rendita.
E’ un personaggio mediocre, di ben diverso spessore rispetto all’altra figura malvagia del romanzo incarnata dall’Innominato.
Egli approfitta e abusa dei privilegi riservati alla sua casta ed ama circondarsi di adulatori. Per non perdere una scommessa, e non per passione amorosa, si intestardisce a voler far sua Lucia.
Manzoni fin dai primi capitoli preannuncia il personaggio, creando una certa aspettativa attorno a questa personalità malvagia e crudele, che suscita in coloro che pronunciano il nome una reazione di paura e terrore. Solo nel V capitolo però viene presentato direttamente e l’aspettativa è in qualche modo delusa dall’apparire di questo triste figuro che si avvale dell’appoggio e della complicità dei notabili suoi amici e che ipocritamente finge di voler buoni rapporti con il clero mentre in realtà ha fastidio di tutto ciò che riguarda la religione.
La sua bassezza d’animo emerge in particolare nel suo atteggiamento verso fra Cristoforo, sia quando, per puro obbligo imposto dalle convenzioni, lo riceve mentre sta banchettando e lo coinvolge in una stupida disputa cavalleresca, facendo illazioni sul suo passato da laico, sia quando ha il colloquio, a tu per tu, in una stanza separata con il cappuccino.
Don Rodrigo rimarrà una figura negativa fino alla fine, quando sul letto di morte gli apparirà in sogno fra Cristoforo nell’atto di puntargli il dito contro pronunciando la profezia sulla giustizia divina, egli non avrà alcun moto di pentimento e sarà pervaso solo dal senso di terrore, diversamente da quanto accadrà invece all’Innominato che riuscirà ad avere la forza, attraverso la ritrovata fede, di cambiare vita, dimostrandosi di ben superiore levatura morale.