PRELUDIO
Emilio Praga

TESTO
  1. Noi siamo i figli dei padri ammalati:
  2. aquile al tempo di mutar le piume,
  3. svolazziam muti, attoniti, affamati,
  4. sull'agonia di un nume.
  5. Nebbia remota è lo splendor dell'arca,
  6. e già all'idolo d'or torna l'umano,
  7. e dal vertice sacro il patriarca
  8. s'attende invano;
  9. s'attende invano dalla musa bianca
  10. che abitò venti secoli il Calvario,
  11. e invan l'esausta vergine s'abbranca
  12. ai lembi del Sudario...
  13. Casto poeta che l 'Italia adora,
  14. vegliardo in sante visioni assorto,
  15. tu puoi morir!... Degli antecristi è l'ora!
  16. Cristo è rimorto !
  17. O nemico lettor, canto la Noia,
  18. l'eredità del dubbio e dell'ignoto,
  19. il tuo re, il tuo pontefice, il tuo boia,
  20.  il tuo cielo, e il tuo loto !
  21. Canto litane di martire e d'empio;
  22. canto gli amori dei sette peccati
  23. che mi stanno nel cor, come in un tempio,
  24. inginocchiati.
  25. Canto le ebbrezze dei bagni d'azzurro,
  26. e l'Ideale che annega nel fango...
  27. Non irrider, fratello, al mio sussurro,
  28. se qualche volta piango:
  29. giacché più del mio pallido demone,
  30. odio il minio e la maschera al pensiero,
  31. giacché canto una misera canzone,
  32. ma canto il vero!
PARAFRASI

Noi siamo gli eredi della generazione dei romantici (padri ammalati, ammalata perchè è la generazione romantica in crisi di valori, combattuta tra realtà e idealità); aquile nel periodo della muta (quando sono incerte tra il desiderio e il timore di spiccare il volo), voliamo (svolazziam, suggerisce l'idea di un movimento privo di meta precisa) senza meta, stupiti, affamati, sul declino di un nume (alcuni sostengono voglia riferirsi a Manzoni, altri a Dio).
L’arca (dove Mosè ripose le tavole della legge) è lontana (nebbia remota), l’uomo sta tornando a adorare il vitello d’oro (idolo d’or – il denaro), e invano si attende il ritorno di Mosè (il patriarca) dalla cima del monte Sinai (vertice sacro) [metafora che attraverso i riferimenti alla storia ebraica vuole significare l'allontanamento dell'uomo dai valori religiosi e dalle certezze di salvezza di un tempo];
Viene atteso invano dalla poesia cristiana (musa bianca), e invano la vergine ormai stanca (esausta), che per venti secoli si ispirò ai valori religiosi (abitò...Calvario), si aggrappa al lenzuolo in cui fu avvolto Cristo morto (Sudario).
Manzoni (casto poeta, casto sia per la purezza dei suoi personaggi femminili, sia per la semplicità del costume di vita personale) che l’Italia adora, autorevole (vegliardo, l'età avanzata, 79 anni, gli conferisce autorevolezza) e profondamente intento nei suoi religiosi pensieri (in sante visioni assorto), puoi anche morire, così come Cristo è morto di nuovo (Cristo è rimorto ! - annuncio che toglie ogni speranza di salvezza), è giunta l’ora degli avversari del cristianesimo (degli antecristi è l’ora, allude ai poeti ribelli scapigliati).
O nemico lettor (il lettore è definito nemico perchè l'autore lo sente ostile alla poesia degli Scapigliati), io canto la Noia [tematica baudelairiana], che è il prodotto della perdita di ogni fede e certezza, che domina e tormenta (che è: il tuo re, il tuo pontefice, il tuo boia), la noia è il tuo cielo e il tuo fango (loto, ovvero la noia è allo stesso tempo il protendersi verso l'ideale ma anche degradazione e abbruttimento).
Canto le litanie (litane) del martire (perchè tormentato dal bisogno di ideale) ma anche dell'empio (perchè nega e bestemmia ogni fede positiva), canto i sette peccati capitali che stanno nel cuore del poeta, inginocchiati come in un tempio.
Canto le sensazioni intense dell’immergersi dell’immaginazione nel cielo (che rappresenta l'ideale) e i loro miseri cedimenti…
Non disprezzarmi, fratello (è sempre riferito al lettore, la cui considerazione oscilla tra i due opposti poli del nemico e del fratello), se qualche volta sommessamente piango.
Giacché più del mio tormento interiore (pallido demone che lo consuma e lo trascina nella degradazione), odio le finzioni (minio, il belletto, la maschera che impedisce di osservare la realtà nella sua crudezza) che abbelliscono e falsificano il pensiero, anche se canto un misero componimento lirico, ma racconto cose vere.


Analisi e commento:

La poesia “Preludio”, del 1864, fa parte della raccolta Penombre. Rappresenta una sorta di manifesto della Scapigliatura, in cui Praga descrive la condizione spirituale di un’intera generazione, successiva al Romanticismo che assume il ruolo coscienza critica dell’epoca.
L’autore abbandona il naturalismo della sua precedente poetica, fatta di ritratti bozzettistici di paesaggi e figure, per penetrare nella sua irrequieta interiorità.
Si possono distinguere nella poesia tre tematiche fondamentali:

  • Nella prima parte il Poeta mira a delineare, in negativo, ciò che la sua generazione non è e non può più essere: essenzialmente fedele a degli ideali e alla fede, fonti delle certezze umane. La sua generazione è priva della fede religiosa, fonte di tutti i valori. Per questo Praga esprime un duro rifiuto nei confronti di Manzoni, che ha fondato la sua vita e la sua opera sui valori cristiani. Nei confronti di Manzoni gli scapigliati hanno un rapporto ambivalente, di odio-amore, ammirazione-repulsione. Praga rifiuta l’impronta morale e cristiana di Manzoni ma non può liberarsi della sua lezione linguistica e letteraria, avvertendo la superiorità poetica.
  • La seconda parte definisce invece ciò che quella generazione è dopo la perdita delle certezze a cui si era affidata. Si delinea la tematica baudelairiana della Noia (carnefice della tormentata anima moderna), la tensione verso l’ideale e nello stesso tempo nella perdizione del vizio e del male.
  • L’ultimo verso (“canto il vero”) delinea l’intento della sua poetica: cantare senza finzioni la difficile condizione spirituale dell’uomo contemporaneo. La poesia deve rivelare in ogni suo brutale aspetto la realtà squallida e desolata della vita moderna, priva di fedi e ideali. Per questo la canzone è “misera”, perché dipinge senza falsi pudori la miseria della vita moderna.

Metrica:

Strofe di 4 versi costituite da tre endecasillabi, l’ultimo verso di ogni quartina è alternatamene settenario (nelle strofe dispari) o quinario (nelle strofe pari). La rima è alternata con schema ABAb.