LE TRE FIERE
Divina Commedia - Inferno – Canto I – vv.31-60
Dante Alighieri

TESTO
  1. Ed ecco quasi al cominciar de l'erta,
  2. una lonza leggera e presta molto,
  3. che di pel macolato era coverta;
  4. e non mi si partia dinanzi al volto,
  5. anzi 'mpediva tanto il mio cammino,
  6. ch'i' fui per ritornar più volte vòlto.
  7. Temp'era dal principio del mattino,
  8. e 'l sol montava 'n sù con quelle stelle
  9. ch'eran con lui quando l'amor divino
  10. mosse di prima quelle cose belle;
  11. sì ch'a bene sperar m'era cagione
  12. di quella fiera a la gaetta pelle
  13. l'ora del tempo e la dolce stagione;
  14. ma non sì che paura non mi desse
  15. la vista che m'apparve d'un leone.
  16. Questi parea che contra me venisse
  17. con la test'alta e con rabbiosa fame,
  18. sì che parea che l'aere ne tremesse.
  19. Ed una lupa, che di tutte brame
  20. sembiava carca ne la sua magrezza,
  21. e molte genti fé già viver grame,
  22. questa mi porse tanto di gravezza
  23. con la paura ch'uscia di sua vista,
  24. ch'io perdei la speranza de l'altezza.
  25. E qual è quei che volentieri acquista,
  26. e giugne 'l tempo che perder lo face,
  27. che 'n tutti suoi pensier piange e s'attrista;
  28. tal mi fece la bestia sanza pace,
  29. che, venendomi 'ncontro, a poco a poco
  30. mi ripigneva là dove 'l sol tace.
PARAFRASI

Ed ecco, quasi all'inizio (al cominciar) del la ripida salita (de l'erta), una lonza (lonza è una specie di lince - il termine deriva dal francese antico lonce. E’ il primo delle tre belve – lonza, leone e lupa - che Dante incontra e che simboleggiano i tre peccati principali che impediscono la via verso la salvezza. La lonza = allegoria della lussuria) agile e molto veloce (presta molto), coperta di pelo chiazzato (macolato); che non si scansava da davanti a me (non mi si partia dinanzi al volto), anzi impediva talmente il mio cammino che io fui più volte tentato (più volte vòlto - paronomasia) di tornare indietro.
Era l’ora (temp'era) vicina al mattino (dal principio del mattino – era l’alba), e il sole sorgeva (montava 'n sù) in quella costellazione (con quelle stelle – è la costellazione dell’Ariete) nella quale si trovava congiunto quando Dio (l'amor divino) fece muovere per la prima volta (mosse di prima) le stelle (quelle cose belle – nel Medioevo si credeva che il mondo fosse stato creato in primavera, mentre il sole si trovava nella costellazione dell’Ariete); così che l'ora del giorno (tempo) e la bella stagione (la dolce stagione) erano per me (m'era) ragione (cagione) di speranza (a bene sperar) riguardo a  (di) quella belva dalla (a la) pelle maculata (gaetta – dal termine provenzale caiet)[Dante pensa di poter sfuggire il pericolo perché il periodo è astrologicamente favorevole Infatti la mattina dell’equinozio di primavera, coincidente con il momento in cui Dio creò il mondo, era considerato propizio dal punto di vista astrologico] finché non mi mise paura (paura non mi desse) la presenza improvvisa di un leone (la vista che m'apparve d'un leone – leone = allegoria della superbia).
Questo sembrava che venisse contro di me superbo (con la test'alta – la testa alta è espressione di superbia) e affamato, al punto che sembrava far tremare (tremesse - latinismo) l'aria.
Ed una lupa (la lupa è la terza belva = allegoria della avarizia intesa come cupidigia non solo di denaro ma anche di onori, beni terreni, ecc.), che di tutti i desideri (brame) sembrava piena (carca) pur essendo magra, e già fece vivere molti popoli in miseria (molte genti fé già viver grame - La lupa è ritenuta da Dante l'origine di tutti i mali di Firenze e d'Italia perché l’avarizia induce ad accumulare ricchezze impoverendo il prossimo ed è il peccato più difficile da estirpare), la lupa (questa – ripetizione pleonastica del soggetto) mi trasmise una tale oppressione (gravezza) per la paura che mi diede la sua vista (ch'uscia di sua vista), che persi la speranza di arrivare in cima al colle (de l'altezza).
Similitudine, vv.55-58, in cui Dante paragona lo stato d’animo dell’avido che perde i propri beni con il suo stato d’animo che dopo essersi illuso di aver quasi conquistato la salvezza se la vede invece sfuggire:
E come per colui che volentieri accumula denaro (acquista), arriva il tempo che lo perde, al punto che nell'animo si rattrista e piange; simile a costui (tal) mi rese (mi fece) la belva senza (sanza – forma fiorentina del XIII sec.) pace (bestia sanza pace – perifrasi per lupa, dato che il peccato che rappresenta, la cupidigia, non concede alcuna tregua, rende insaziabili), la quale, venendomi incontro, pian piano mi respingeva nell'ombra (là dove 'l sol tace = nella selva oscura - sol tace è una sinestesia: la sensazione visiva, il buio, viene rappresentata attraverso una sensazione uditiva, il silenzio).


Analisi e commento:

Dopo aver attraversato la “selva oscura”, simbolo di traviamento spirituale, il pellegrino Dante esce in una radura da cui scorge un colle rischiarato dalla luce divina, segno dell’inizio di un percorso di redenzione. Proprio mentre inizia a salire verso la cima del colle tre fiere gli ostacoleranno il passo. La prima che gli si para davanti è una lonza ma Dante non la teme ritenendo che il periodo astronomico favorevole in cui è, ovvero la mattina dell’equinozio di primavera, essendo lo stesso in cui Dio creò il mondo,  gli sarà di buon auspicio per affrontare l’ostacolo.  La sua speranza però svanisce all’apparire delle altre due fiere, un leone ed una lupa che minacciosa lo costringerà a tornare sui suoi passi ed a rientrare nella “selva oscura”.

Metrica:

Terzine di versi endecasillabi a rima incatenata.