LA FIGLIA DI IORIO
Gabriele D'Annunzio



Trama

La figlia di Iorio è un’opera drammatica in versi di Gabriele D’Annunzio, una "tragedia rustica d’argomento abruzzese", come la definì lo stesso D’Annunzio, in tre atti scritta nell’estate del 1903.
La vicenda è ambientata in un Abruzzo rurale, patriarcale e superstizioso, nel giorno di San Giovanni. La famiglia di Lazaro di Roio sta preparando le nozze del figlio Aligi, pastore, con la giovane Vienda di Giave.
Secondo l’antico rituale le tre sorelle di Aligi, Splendore, Favetta e Ornella, lavorano agli arredi e alle vesti per il matrimonio, mentre la madre benedice gli sposi, riceve e accoglie i parenti che giungono con i doni nuziali.
Questa atmosfera di serenità agreste è turbata dall’irrompere di Mila, figlia del magi Iorio che cerca scampo e rifugio per evitare le molestie di un gruppo di mietitori ubriachi. La giovane donna è una donna dalla cattiva fama, sospettata di stregoneria ma Aligi la difende e pone sulla soglia una croce di cera di fronte alla quale i mietitori indietreggiano. Il rito nuziale è ormai profanato e interrotto.
Mila e Aligi si innamorano e finiscono per convivere assieme in una caverna in montagna.
La situazione precipita rapidamente quando il padre di Aligi, Lazaro cerca di sedurre Mila, Aligi interviene a difendere la donna e nasce così una colluttazione tra padre e figlio che terminerà con la morte del padre. Il parricida viene condannato dalla comunità ad essere chiuso in un sacco con un mastino e buttato nel fiume, ma Mila che per salvarlo si assume la colpa di tutto, dichiarando di averlo ammaliato con una stregoneria e spinto al delitto. Mila verrà condannata al rogo che ella affronta come sacrificio e purificazione.


Analisi testo

La tragedia fu rappresentata nel marzo del 1904 ed ebbe immediato e indiscusso successo, La figlia di Iorio è stata per lunghissimo tempo considerata l’unica opera teatrale di D’Annunzio veramente riuscita; ciò fu dovuto all’apparente semplicità e popolarità della storia che implica, a tratti, una rappresentazione quasi verista.
La tematica affrontata, ispirata ad un quadro del pittore Michetti, ha infatti caratteristiche care al verismo: la fanciulla che, corrotta, inesorabilmente si perde acquistando così un fascino tragico e maledetto. Mila rappresenta infatti la femminilità rovinosa che scatena l’"ossessione carnale" che costituisce uno dei temi spesso trattati da D’Annunzio. Nello stesso tempo Mila incarna l’eroina che per amore consapevolmente sceglie il sacrificio.
Dal punto di vista linguistico D’annunzio propone uno stile lontano dal linguaggio comune, una lingua del tutto artificiale e un registro alto. Insomma un linguaggio puro. Ciò perché il lettore, o lo spettatore, deve sentirsi partecipe di un evento di alto valore estetico, superiore alle esperienze della vita quotidiana.
Un lessico così difficile, enfatico e retorico fa sì che l’opera appaia al lettore di oggi "fuori dal tempo", la lettura è faticosa e sicuramente non immediata.
Va rilevato che anche all’epoca di D’Annunzio la maggior parte degli scrittori cominciava a muoversi in una direzione contraria rispetto allo stile dannunziano, avvicinandosi alla lingua corrente attraverso un linguaggio più semplice e naturale, addirittura colloquiale in alcuni casi.
D’Annunzio in controtendenza rispetto alla maggior parte degli scrittori dell’epoca, è rivolto invece al passato, alla continua ricerca della parola o dell’espressione di forma arcaica per poter impreziosire e conferire nobiltà al suo linguaggio. Il suo lessico aulico si basa su un’accurata indagine per sostituire ai termini comuni i sinonimi più ricercati, "più alti" . Così utilizzerà "dimandare" anziché "domandare", "bevere" anziché "bere", "capellatura" anziché "capigliatura".
All’elaboratissima trama linguistico-lessicale corrisponde un’altrettanto ricercata struttura metrica e ritmica. Vi è alternanza tra i ritmi degli endecasillabi e i ritmi dei novenari che vengono utilizzati in base alla tematica; i primi impiegati per le scene legate al mondo pastorale, religioso e ritualizzato, i secondi per il mondo agricolo, brutale e violento. Vi è abbondanza inoltre di figure retoriche.
Il verso è continuo, intero, senza spezzettamenti (evita l’enjambement) per ricordare l’andamento ininterrotto del canto popolare. Vengono utilizzate altre formule del linguaggio popolare come scongiuri, proverbi e preghiere.
Anche nella tematica la drammaturgia dannunziana rifiuta le forme del teatro del tempo, il teatro borghese e realistico che metteva in rappresentazione scene di vita quotidiana rivolte spesso alla dimensione privata della vita famigliare e coniugale. D’annunzio ambisce ad una forma più elevata di rappresentazione, al teatro "di poesia", che sia una sublimazione e trasfigurazione della realtà e che si incentri su personaggi d’eccezione caratterizzati da passioni e sentimenti fuori dal comune. Questo dramma in particolare vuole esprimere il gusto, di matrice decadente, per il barbarico, il magico e il primitivo ed il fascino per il mondo rurale visto come emblema dell’irrazionale.
La lettura dell’opera è impegnativa e costringe ad approfondire i significati espressi. D’altra parte questo era l’obiettivo che si poneva D’annunzio: non la semplificazione ma la studiata costruzione dell’opera per una descrizione nobilitata e idealizzata della realtà ed una sua comprensione elevata da parte del lettore.