LA CREAZZIONE DER MONNO
Giuseppe Gioacchino Belli

TESTO
  1. L'anno che Gesucristo impastò er monno,
  2. ché pe impastallo già c'era la pasta,
  3. verde lo vorze fà, grosso e ritonno,
  4. all'uso d'un cocommero de tasta.
  5. Fece un zole, una luna, e un mappamonno,
  6. ma de stelle poi dí una catasta:
  7. ucelli, bestie immezzo, e pesci in fonno:
  8. piantò le piante, e doppo disse: "Abbasta".
  9. Me scordavo de dì che creò l'omo,
  10. e coll'omo la donna, Adamo e Eva;
  11. e je proibbì de nun toccaje un pomo.
  12. Ma appena che a maggnà l'ebbe viduti,
  13. strillò per Dio con quanta voce aveva:
  14. "Ommini da vienì, sete futtuti
PARAFRASI

Gesucristo = sta per Dio Padre, secondo uno scambio con Dio che doveva essere frequente nel linguaggio popolare. Questo errore contribuisce a sottolineare il tono disincantato del sonetto.
impastallo già c'era la pasta = in questo modo il Poeta degrada la sublimità del concetto di creazione; per creare il mondo Dio doveva già possedere la materia prima (la pasta metafora), preesistente all'atto della creazione stessa.
vorze = volle; ritonno = rotondo; all'uso d'un cocommero de tasta = alla maniera di un cocomero (cocommero - metafora) d'assaggio (la tasta è il tassello che s'incide nei cocomeri per accertarsi che siano maturi).
Zole = sole; mappamonno = la terra; poi dí = puoi dire; catasta = una quantità enorme; = in alto, nell'aria; immezzo = sulla terra; in fonno = in fondo al mare; Abbasta = basta.
Je proibbí = gli proibì; nun toccaje = di non toccare - da notare la costruzione negativa dopo il verbo proibire.
Ommini da vienì, sete futtuti = uomini a venire, futuri (da vienì) siete (sete) rovinati.


Analisi e commento:

Questa trascrizione popolaresca della creazione del mondo è uno dei primi sonetti di Belli. Venne composto a Terni il 4 ottobre 1831 e dà avvio al filone dei sonetti sugli episodi della Bibbia. La creazione del mondo è descritta con tono favolistico e satirico, come il tiro mancino di un Creatore spinto dalla vendetta.
La prima quartina fa riferimento a due metafore alimentari: pasta e cocomero. Inoltre nei primi due versi Belli utilizza gli errori teologici popolari dove non Dio ma Gesù è l'autore dell'universo che non viene creato dal nulla ma "impastato" da una materia informe, che già era pronta (già c'era la pasta), non creata dunque. La seconda quartina mostra un Dio giardiniere, all'apparenza benevolo, ma che nell'ultima terzina sentenzia con maligna soddisfazione l'inutilità dello sviluppo futuro del genere umano (l'effetto comico-paradossale è reso attraverso l'immagine di un Dio che, fortemente irritato si lascia andare a gridare con un gran vocione). Nella Bibbia belliana Dio è un tiranno e persecutore, un Dio che sta sempre dalla parte dei potenti e che manifesta il suo potere con divieti incomprensibili e punizioni eterne, angariando i comuni mortali condannandoli all'immutabilità di una condizione umana misera, ad una vita d'inferno che non cambierà neppure dopo la morte perché proseguirà con l'inferno dell'al di là.
A differenza dei racconti Biblici per Belli gli uomini non hanno nessuna possibilità di redenzione e di riscatto, come declamato da Dio stesso in conclusione del sonetto. Non c'è nessuna speranza di redenzione perché chi dovrebbe operarla è un popolo inetto e spregevole tanto quanto chi lo comanda. Emerge quindi il radicale pessimismo di Giuseppe Gioacchino Belli che assume sfumature nihiliste.

Metrica:

Sonetto, composto da due quartine e due terzine, a schema ABAB, ABAB, CDC, EDE.