GIUSEPPE GIOACCHINO BELLI
(1791-1863)
VITA
Giuseppe Gioacchino  Belli nasce a Roma  nel 1791. Dopo un’infanzia ed un’adolescenza difficili per la morte dei  genitori e le conseguenti difficoltà economiche nel 1816 sposa la vedova del  conte Pichi, Maria Conti, più anziana di lui di 13 anni. Il matrimonio gli  porta un periodo di agiatezza economica. Inizia in quel periodo a dedicarsi più  intensamente agli studi letterari e alla poesia e compie numerosi viaggi.
            Un viaggio a Milano nel 1827 è  l’occasione per entrare in contatto con la cultura romantica e l’illuminismo  che dominavano nell’ambiente intellettuale lombardo dell’epoca, tanto lontana  dal provincialismo della situazione romana. Scrittori come Giordani e Porta  contribuiscono al mutamento degli orientamenti culturali di Belli.
            Nel 1821 conosce la Marchesina  Vincenza Roberti con la quale ebbe un lungo legame sentimentale. Alla Marchesina,  chiamata affettuosamente Cencia, egli dedica 51 sonetti, in lingua, raccolti  nel “Canzoniere amoroso”.
            Nel 1837 la moglie muore e la sua  condizione economica subisce un netto peggioramento. La vena creativa va  diminuendo finchè si esaurisce definitivamente nel 1849.
            Negli ultimi anni il suo pensiero  subisce un’involuzione in senso conservatore e filo-papista. Lavora come  funzionario pontificio e nel biennio 1852-1853 viene nominato censore e gli  viene affidato l’incarico di giudicare i testi degli spettacoli teatrali dal  punto di vista della “morale politica”. Si contraddistingue per la severità con  cui condanna opere di Rossini, Verdi e addirittura di Shakespeare (Mosè,  Rigoletto, Macbeth).
            Muore, per apoplessia, all’età di  72 anni, nel 1863.
PRODUZIONE POETICA
La  produzione poetica di Belli inizialmente è quasi esclusivamente in italiano poi  diventa prevalente quella in dialetto e nell’arco di pochi anni il poeta  scriverà quasi 2000 sonetti, arrivando a scrivere fino a 12 sonetti al giorno.
La prima  lirica è datata 1814 mentre i primi componimenti dialettali risalgono al 1817.
Tra il  1829 e il 1849 compose 2179 testi romaneschi che vennero uniti nella raccolta  dei Sonetti, l’opera per la quale il Belli raggiunge la notorietà.
Nei  sonetti il poeta fa un ritratto in romanesco della Roma dell’epoca, dei suoi  abitanti, dei costumi pubblici e privati, sferza la corruzione dei governanti, disapprova  gli abusi di governo, il malgoverno, l'ozio, la lussuria dei potenti e fa una  satira amara della società romana e della cultura arcadica e accademica. La  Roma che viene rappresentata è la Roma dei Papi sulla quale grava l'immobilismo,  la negazione di ogni progresso e di ogni speranza. Niente sfugge  all’indignazione fredda e sfrontata di Belli, nemmeno il popolino, la plebe di  cui condanna il torpore, l'ignoranza, l'insipienza di certi modi di vedere.
Sono  versi talvolta audaci, licenziosi e blasfemi, destinati nelle intenzioni di  Belli a rimanere clandestini. Infatti il poeta incarica l’amico Monsignor  Tizzani di distruggere, dopo la sua morte, tutta la sua produzione dialettale.  Il Monsignore non rispetta le volontà di Belli e li salvaguarda consegnando  l’opera integrale al figlio del poeta.
La 1°  edizione completa dei sonetti viene pubblicata soltanto nel 1952. 
La  produzione poetica in lingua è stata invece raccolta in tre volumi dal titolo “Belli  italiano”, pubblicati nel 1975, che comprendono sonetti, odi, canzoni,  epistole e lo "Zibaldone", raccolta di estratti e di indici di opere  che testimonia la sua conoscenza di illuministi e romantici italiani e  stranieri.
