LA SERA DEL DI’ DI FESTA
Giacomo Leopardi

TESTO
  1. Dolce e chiara è la notte e senza vento,
  2. E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
  3. Posa la luna, e di lontan rivela
  4. Serena ogni montagna. O donna mia,
  5. Già tace ogni sentiero, e pei balconi
  6. Rara traluce la notturna lampa:
  7. Tu dormi, che t'accolse agevol sonno
  8. Nelle tue chete stanze; e non ti morde
  9. Cura nessuna; e già non sai né pensi
  10. Quanta piaga m'apristi in mezzo al petto.
  11. Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno
  12. Appare in vista, a salutar m'affaccio,
  13. E l'antica natura onnipossente,
  14. Che mi fece all'affanno. A te la speme
  15. Nego, mi disse, anche la speme; e d'altro
  16. Non brillin gli occhi tuoi se non di pianto.
  17. Questo dì fu solenne: or da' trastulli
  18. Prendi riposo; e forse ti rimembra
  19. In sogno a quanti oggi piacesti, e quanti
  20. Piacquero a te: non io, non già ch'io speri,
  21. Al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo
  22. Quanto a viver mi resti, e qui per terra
  23. Mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi
  24. In così verde etate! Ahi, per la via
  25. Odo non lunge il solitario canto
  26. Dell'artigian, che riede a tarda notte,
  27. Dopo i sollazzi, al suo povero ostello;
  28. E fieramente mi si stringe il core,
  29. A pensar come tutto al mondo passa,
  30. E quasi orma non lascia. Ecco è fuggito
  31. Il dì festivo, ed al festivo il giorno
  32. Volgar succede, e se ne porta il tempo
  33. Ogni umano accidente. Or dov'è il suono
  34. Di que' popoli antichi? or dov'è il grido
  35. De' nostri avi famosi, e il grande impero
  36. Di quella Roma, e l'armi, e il fragorio
  37. Che n'andò per la terra e l'oceano?
  38. Tutto è pace e silenzio, e tutto posa
  39. Il mondo, e più di lor non si ragiona.
  40. Nella mia prima età, quando s'aspetta
  41. Bramosamente il dì festivo, or poscia
  42. Ch'egli era spento, io doloroso, in veglia,
  43. Premea le piume; ed alla tarda notte
  44. Un canto che s'udia per li sentieri
  45. Lontanando morire a poco a poco,
  46. Già similmente mi stringeva il core.
PARAFRASI

Nei primi versi la natura e il paesaggio notturno sono i protagonisti. È un momento di grande pace e di idilliaco e autentico rapporto con la natura stessa, che infonde serenità (La notte è dolce, chiara e senza vento).
O donna mia  = apostrofe;
Già = metonimia; Pei balconi = attraverso le finestre
Rara…lampa = trapela qua e là la luce della lampada accesa.
Tu dormi = il motivo della donna che dorme indifferente alle sofferenze di chi l’ama è motivo classico riconducibile per esempio a Orazio; agevol = facile;
Non ti tormenta (morde) alcun affanno (cura = in latino ‘affanno’); non sai e non immagini quale ferita apristi nel mio petto.
Tu dormi (anafora, ripropone il tema dell’indifferenza, inoltre evidenzia il contrasto tra i due, sottolineato dall’uso dei pronomi Tu e Io) e io invece mi affaccio a salutare questo cielo (ciel vale anche per ‘destino’) così benigno in apparenza.
Dal v.13 inizia un ribaltamento totale del conforto della natura: essa viene definita antica – per evidenziare la precarietà della vita umana rispetto al cosmo - e onnipossente - può infatti creare o distruggere a suo piacimento; che mi fece all’affanno = che mi generò per farmi soffrire [la natura non è più madre ma matrigna]. Nego …speme: c’è una prosopopea; è la natura stessa che parla, personificata dal poeta, e che, come una maledizione, afferma di avergli negato anche la speranza (speme), e che gli occhi del poeta non brilleranno d’altro se non di pianto (da notare il contrasto tra il verbo brillare, riferito di solito alla gioia, e il pianto a cui è associato in questo passo). Questo…solenne = Questo è stato un giorno festivo (solenne latinismo): [si rivolge di nuovo alla donna] ora riposati dagli svaghi (trastulli). La immagina mentre sogna tutti gli uomini su cui ha fatto colpo e soprattutto quanti le sono piaciuti: e l’autore, con più negazioni (non io, non già), ribadisce la sua convinzione di non essere tra questi: non può nemmeno sperarlo; Si domanda quanto gli resti da vivere e a questo pensiero (qui) subentra l’angoscia vera  propria del poeta, con una disperazione espressa in una maniera incontrollata ed esasperata, come si nota anche dai verbi “mi getto e grido e fremo”; Giorni orrendi in anni così giovani (in così verde etatemetafora, sta per gioventù).
Ahi…Leopardi passa con questa esclamazione da considerazioni sul proprio dolore a riflessioni più generali sulla nullità di tutte le cose e racconta di udire il canto dell’artigiano che a tarda notte dopo il divertimento (i sollazzi) torna alla sua povera casa (ostello)  e associa il canto dell’artigiano che si allontana sempre di più per le vie a come tutto crudelmente (fieramente) passa a questo mondo; a come tutto è fugace e quasi non lascia traccia (orma non lascia).  
Volgar = feriale; Anche i versi successivi trattano ancora lo stesso tema: il tempo tiranno porta via ogni accadimento umano (ogni umano accidente).
Passa a una riflessione ancora più allargata, nella quale si domanda che fine abbiano fatto i popoli gloriosi antichi, le battaglie famose e il grande impero di Roma (domanda retorica sulla condizione di dimenticanza in cui verano antichi uomini e popoli famosi ricorrente nella letteratura preromantica)
Associando ciò al canto dell’artigiano, utilizza termini che riportano a delle percezioni sensoriali uditive, come le parole suono, grido, fragorio.
Tutto = da riferire a mondo. Vi è un ritorno all’area semantica della quiete: pace, silenzio, posa.
Ragiona = discute, segno che non se ne ha più alcun ricordo vivo.
C’è il ritorno all’infanzia, nella quale, come ora, non riusciva a dormire (in veglia, premea le piume - locuzione letteraria) nel dì di festa.
Il salto nel passato è permesso dal canto dell’artigiano, tramite tra passato e presente, che anche quand’era piccolo s’udia per li sentieri.
L’affievolirsi della voce, a causa della lontananza gli faceva stringere il core similmente ad ora. Al canto dell’artigiano Leopardi associa dunque la caducità della vita. C’è qui la consapevolezza del dolore dell’uomo.


Analisi e commento:

In questo idillio, composto a Recanati nel 1820, ancora una volta la contemplazione notturna si unisce al tema della disperazione del poeta.
E' notte e il poeta contempla il paesaggio illuminato dalla luna che si presenta dolce chiaro e senza vento, mentre di lontano appare nitido il profilo delle montagne. All’incanto della pace notturna fa contrasto l’angoscia del poeta consapevole che la sua donna dorme tranquillamente, dopo aver trascorso con gioia il giorno di festa, durante il quale si è lasciata corteggiare da tanti giovani. Ella non sa quale profonda piaga ha aperto nel cuore del poeta, il quale deve amaramente constatare che la natura onnipotente lo ha destinato alla sofferenza: per lui non c’è neppure la speranza. Per questo egli si chiede angosciosamente quanto tempo gli rimarrà ancora da vivere e getta un grido di dolore: ”O giorni orrendi in così verde etate!”
Intanto ode di lontano il solitario canto dell’artigiano, che ritorna alla sua povera casa dopo i divertimenti della giornata festiva. Ciò fa pensare come tutto al mondo passa, e quasi non lascia traccia. Del di festivo, infatti, più nulla rimane, così come intere epoche della storia, pur splendide un tempo per civiltà e valore, non hanno lasciato che tenui memorie, destinate anch’esse a scomparire Già da fanciullo, dice il poeta quando al giorno festivo, bramosamente atteso, subentrava la notte, egli giaceva insonne nel letto ad ascoltare, a tarda notte, un canto che lentamente si spegneva in lontananza, mentre nel cuore penetrava una profonda tristezza al pensiero che tutte le cose umane finiscono nell’oscurità e nel silenzio.

Metrica:

46 endecasillabi sciolti.