DESOLAZIONE DEL POVERO POETA SENTIMENTALE
Sergio Corazzini

TESTO

I
Perché tu mi dici: poeta?
Io non sono un poeta.
Io non sono che un piccolo fanciullo che piange.
Vedi: non ho che le lagrime da offrire al Silenzio.
Perché tu mi dici: poeta?

II

Le mie tristezze sono povere tristezze comuni.
Le mie gioie furono semplici,
semplici così, che se io dovessi confessarle a te arrossirei.
Oggi io penso a morire.

III
Io voglio morire, solamente, perché sono stanco;
solamente perché i grandi angioli
su le vetrate delle catedrali
mi fanno tramare d'amore e d'angoscia;
solamente perché, io sono, oramai,
rassegnato come uno specchio,
come un povero specchio melanconico.
Vedi che io non sono un poeta:
sono un fanciullo triste che ha voglia di morire.

IV
Oh, non maravigliarti della mia tristezza!
E non domandarmi;
io non saprei dirti che parole così vane,
Dio mio, così vane,
che mi verrebbe di piangere come se fossi per morire.
Le mie lagrime avrebbero l'aria
Di sgranare un rosario di tristezza
Davanti alla mia anima sette volte dolente,
ma io non sarei un poeta;
sarei, semplicemente, un dolce e pensoso fanciullo
cui avvenisse di pregare, così, come canta e come dorme.

V
Io mi comunico del silenzio, cotidianamente, come di Gesù.
E i sacerdoti del silenzio sono i romori,
poi che senza di essi io non avrei cercato e trovato il Dio.

VI
Questa notte ho dormito con le mani in croce.
Mi sembrò di essere un piccolo e dolce fanciullo
Dimenticato da tutti gli umani,
povera tenera preda del primo venuto;
e desiderai di essere venduto,
di essere battuto
di essere costretto a digiunare
per potermi mettere a piangere tutto solo,
disperatamente triste,
in un angolo oscuro.

VII
Io amo la vita semplice delle cose.
Quante passioni vidi sfogliarsi, a poco a poco,
per ogni cosa che se ne andava!
Ma tu non mi comprendi e sorridi.
E pensi che io sia malato.

VIII
Oh, io sono, veramente malato!
E muoio, un poco, ogni giorno.
Vedi: come le cose.
Non sono, dunque, un poeta:
io so che per essere detto: poeta, conviene
viver ben altra vita!
Io non so, Dio mio, che morire.
Amen

PARAFRASI

Il Poeta si rivolge con un "tu" indefinito al lettore e a se stesso riconoscendo di essere un poeta ma solo un piccolo fanciullo che piange (in realtà la sua intenzione è di negare di essere un poeta secondo l'immagine di poeta a cui il lettore è abituato: poeta-vate).
Silenzio: l’uso della maiuscolo gli conferisce il ruolo di divinità (personificazione).
La figura del poeta viene negata e ridotta in termini antieroici.
Egli dichiara di non essere altro che un uomo rassegnato ad una vita costellata di povere tristezze comuni a tutti gli uomini e di gioie semplici.
L'unico suo pensiero è di morire (penso a morire - l'insistenza sui temi della malattia, solitudine e morte sono tipici del crepuscolarismo e vengono affermati in queste prime strofe con toni tragici).
E' tipica del crepuscolarismo anche l'utilizzazione di immagini religiose, usate non in chiave dissacratoria e parodistica ma in maniera seria:
Angioli: arcaismo per dire angeli.
Catedrali: la grafia catedrale, anziché cattedrale, è uno dei vizzi ortografici presenti anche in Gozzano.
Corazzini afferma la sua rassegnazione a vivere il suo destino di una vita riflessa, ovvero passiva costellata delle tristezze e delle gioie semplici comuni a tutti gli uomini, e lo esprime con quest'immagine dello specchio: Come uno specchio: lo specchio non ha una vita propria ma si limita a riflettere la realtà.
Maravigliarti: forma letteraria per meravigliarti.
L'insistenza sul pianto (piangere...lagrime), la malinconia, il ripiegamento su se stesso sono elementi tipici di Corazzini e della poesia crepuscolare in genere.
Ritornano le immagini sacre:
Sgranare un rosario: di essere come le perle di un rosario.
Sette volte dolente: probabilmente il poeta allude alla madonna dei sette dolori.
Il poeta ribadisce, un'altra volta (le numerose riperizioni contribuiscono alla musicalità del testo), di non essere un poeta ma un semplice pensoso fanciullo, affermando con ciò, in contrapposizione con il poeta-vate, di essere un poeta sentimentale e intimista, ripiegato su se stesso, ovvero un nuovo modello di poeta.
Comunico…Gesù: come il fedele per mezzo dell’Eucarestia assume in sé il corpo di Cristo diventando con lui una sola cosa, ugualmente il Poeta fa la comunione con il silenzio, sua divinità.
cotidianamente: dal latino cotidie;
sacerdoti del silenzio: perché senza di essi il silenzio non sarebbe concepibile, perché i rumori inducono a cercare il silenzio.
Battuto = picchiato
Nella settima strofa il poeta dichiara il suo amore per la semplicità (io amo la vita semplice delle cose).
Nelle strofe che chiudono la lirica torna il tema decadente della vita come malattia, in attesa della morte liberatrice, espresso non più con toni tragici ma malinconici per la consapevolezza che gli uominie e le cose vanno incontro ad un destino effimero (quante passioni vidi sfogliarsi = perdersi, svanire).
Nei versi finali diventa evidente lo spirito polemico nei confronti del modello di poeta imperante all'epoca (d'annunziano) laddove Corazzini afferma: per essere detto: poeta, conviene viver ben altra vita!, riferendosi con "ben altra vita" all'ideale d'annunziano della "vita inimitabile", cioè quella dei successi e degli splendori.
Amen: il così sia che chiude ogni preghiera.


Analisi e commento:

Corazzini, morto giovanissimo (20 anni), è uno di quei poeti-fanciulli che si contrapponevano alla superbia dannunziana con i toni dimessi e fievoli propri del crepuscolarismo.
Questa è la più celebre poesia di Corazzini, tratta da Piccolo libro inutile (1906), il suo manifesto poetico e quasi anche quello del crepuscolarismo: egli nega ripetutamente di essere un poeta ma in sostanza afferma di essere un poeta nuovo, diverso dai modelli carducciano e dannunziano: rifiuta il ruolo di vate, civilmente impegnato, ma poeta “sentimentale”, intimista, ripiegato su se stesso.
Tutti gli elementi tipici della poesia crepuscolare sono presenti: la tristezza, l’angoscia, la malinconia, la stanchezza, il dolore, la malattia, la morte. La poesia si conclude con la malinconica consapevolezza del destino effimero degli uomini e che solo la morte può liberarli dalla “malattia” della vita.

Metrica:

Versi liberi, riuniti in otto strofe di lunghezza variabile, senza rime. La poesia è dominata da un tono dimesso e dal ricorso ad un linguaggio semplice e colloquiale, senza termini ricercati, in contrasto con la moda dannunziana che ricercava un linguaggio raffinato ed erudito. Anche la sintassi è lineare e i periodi brevi. Il Poeta si rivolge con un “tu” indefinito al lettore e a se stesso. Le molte ripetizioni conferiscono musicalità al testo.