CHI È QUESTA CHE VÈN, CH’OGN’OM LA MIRA
Guido Cavalcanti

TESTO
  1. Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira,
  2. che fa tremar di chiaritate l’âre
  3. e mena seco Amor, sì che parlare null’omo pote, ma ciascun sospira?
  4. O Deo, che sembra quando li occhi gira,
  5. dical’Amor, ch’i’ nol savria contare:
  6. cotanto d’umiltà donna mi pare,
  7. ch’ogn’altra ver’ di lei i’ la chiam’ira.
  8. Non si poria contar la sua piagenza,
  9. ch’a le’ s’inchin’ogni gentil vertute,
  10. e la beltate per sua dea la mostra.
  11. Non fu sì alta già la mente nostra
  12. e non si pose ’n noi tanta salute,
  13. che propiamente n’aviàn conoscenza
PARAFRASI

Chi è costei che avanza (riecheggia il Cantico dei Cantici, VI, 10) e ogni uomo (ogn’om: impersonale) l’ammira, che fa vibrare di luminosità (chiaritate) l’aria (l’âre - L’incedere della donna viene quindi accostato a un’apparizione soprannaturale, come sottolinea anche l’alone luminoso di cui la figura è circonfusa) e porta con sé ( mena seco) Amore [cioè fa innamorare chi la contempla] così che nessun uomo (null’omo - francesismo) può parlare, ma ciascuno sospira?
O Dio, a che cosa può assomigliare quando volge lo sguardo, lo dica Amore, perchè io non lo saprei riferire (contare:spiegarlo – dichiarazione della sua incapacità ad esprimerlo): mi sembra (mi pare) a tal punto (cotanto) signora (donna: dal latino domina) di umiltà (di benevolenza), che ogni altra donna al suo confronto (ver’ di lei) può essere chiamata superba/sdegnosa (iraantitesi umiltà/ira).
Non (anafora – non/non) si potrebbe raccontare (contar - climax) la sua bellezza/avvenenza (piagenza - provenzalismo), (sottolinea ancora il concetto dell’ineffabilità della bellezza femminile, come già aveva espresso al verso 6 ma mentre prima si trattava di un’impossibilità soggettiva, "i’ nol savria", ora è un’impossibilità assoluta "non si poria") dato che a lei si inchina ogni nobile virtù (vertute) e la bellezza la indica come sua dea.(la mostra - la donna appare come una manifestazione di virtù ideali ed in primo luogo della benignità/umiltà - vedi verso 7- e della bellezza)
La nostra mente (mente nostra) non fu mai (già) così elevata (alta) né fu posta in noi tanta grazia divina/perfezione (salute) da poterne adeguatamente (propiamente) avere conoscenza.


Analisi e commento:

Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira è un sonetto di lode scritto da Guido Cavalcanti, il principale esponente, insieme a Dante Alighieri, del dolce stilnovo. Rispetto alla concezione cortese dell’amore i poeti stilnovisti operano il processo di spiritualizzazione della donna. La donna non è più una persona da amare e desiderare, bensì un’occasione di riflessione e di analisi interiore per il poeta.
Questo sonetto di cavalcanti racconta come l’arrivo di una donna causi un turbamento che coinvolge tutti i sensi del poeta ed egli rapito dalla bellezza della donna si rende conto dell’impossibilità di poter esprimere con le parole la sua essenza.
Il motivo della luminosa bellezza della donna angelicata e dello sbigottimento dell’uomo che la osserva impotente di fronte a tanto splendore vengono introdotti già nei primi quattro versi del sonetto.
L’autore apre la lode sovrapponendo alla donna la figura della Vergine (un alone di luce la circonda). La donna è rappresentata come un essere divino, soprannaturale ed in quanto essere miracoloso, non può e non deve essere descritta nel suo aspetto fisico, ma si può solo vedere indirettamente la sua importanza negli effetti che produce su coloro che la osservano. Costoro, rimanendo stupefatti e sconvolti dall’apparizione divina non possono far altro che restare in sua contemplazione e sospirare. Questa donna, anche se signora di umiltà, tanto che in confronto a lei ogni altra donna diventa malvagia , è una realtà troppo alta, troppo lontana per gli uomini che non possono assolutamente descriverla, e cantarla, con le proprie parole di mortali: “So che parlare null’omo pote”, “Ch’io nol savia cantare”, “Non si poria cantar la sua piagenza”.
Il motivo dell’indescrivibilità, quindi, attraversa tutto il sonetto e ne diventa il tema principale. All’impossibilità di esprimere con parole la sua perfezione, si aggiunge progressivamente l’impossibilità di conoscere, in senso filosofico, la donna. Nell’ultima strofa la mente umana proclama infatti la sua incapacità di elevarsi e comprendere ciò che è sovrannaturale, perfetto, divino.
Nel corso della poesia quindi il poeta rende gradualmente esplicito che la conoscenza negata all’uomo da soggettiva incapacità espressiva del poeta si rivela poi una oggettiva impossibilità conoscitiva dell’uomo.
COMPARAZIONE CON GUINIZZELLI: Il processo di sublimazione della donna è molto più deciso in Cavalcanti di quello operato dagli altri poeti del Dolce Stil Novo, in particolare da Guinizzelli nel sonetto “Io voglio del ver la mia donna laudare”.
Guinizzelli loda e contemporaneamente descrive la donna con numerosi paragoni naturali: la rosa, il giglio, le stelle, la campagna, i colori e le pietre preziose, e le conferisce la capacità santa di convertire tutti coloro che non credono in Dio solamente con il suo sguardo, allontanando ogni pensiero malvagio. Guinizzelli fa diventare la propria donna un angelo che sebbene possieda caratteristiche e potenzialità straordinarie non suscita nell’uomo quello stupore, quell’ammirazione, quel senso di impotenza che invece scatena la donna di Guido Cavalcanti.
La poesia di Cavalcanti da un punto di vista formale rispecchia pienamente i canoni stilnovistici grazie alla linearità lessicale e sintattica, mentre da un punto di vista del contenuto non si ferma alla lode ed alla sublimazione della donna, ma va ad analizzare anche gli effetti che il "Dio Amore" provoca sull’uomo.

Metrica:

La struttura usata è quella del sonetto costituito da quattordici endecasillabi suddivisi in due quartine con lo schema ABBA ABBA (rima incrociata) e due terzine con schema CDE EDC (rima invertita).
Ogni strofa del sonetto corrisponde infatti a un periodo e ogni verso corrisponde a una frase (tranne che per i vv.3-4 in cui è presente un enjambement). Sul piano delle scelte lessicali il poeta evita le consonanti aspre e le vocali di suono chiaro.