KARL MARX
(1818 -1883)



Vita e opere

Karl Marx nacque a Treviri il 15 maggio 1818.
Compie gli studi liceali a Treviri e poi si reca a Bonn per studiare legge. A Bonn, Karl preferiva la vita goliardica allo studio e così il padre prese la decisione di fargli proseguire gli studi nella più austera Università di Berlino, e qui si laureò.
Dopo la laurea, Marx pensò di ottenere la libera docenza a Bonn, dove insegnava il suo amico Bruno Bauer. Ma Bauer venne ben presto allontanato dall’Università. E così si chiuse, la carriera accademica di Marx, che passò al giornalismo diventando redattore della “Gazzetta renana”.
Tale giornale, però, il 21 gennaio 1843 veniva ufficialmente interdetto.
A Parigi Marx conobbe Friedrich Engels, il quale gli sarà amico e collaboratore per tutta la vita.
Aiutato economicamente da alcuni amici di Colonia, Marx proseguì le sue ricerche di filosofia e di economia politica.
Collaborò intanto al “Vorwarts” (Avanti), giornale degli artigiani comunisti. E proprio questa collaborazione gli costerà l’espulsione della Francia. Nel frattempo veniva maturandosi il suo distacco dalla Sinistra hegeliana.
Marx partì per l’Inghilterra nel 1849.
In Inghilterra Marx si stabilì a Londra dove riuscì, aiutato economicamente dall’amico Engels, a condurre in porto tutte quelle ricerche di economia, storia, sociologia e politica che costituiscono la base de Il capitale.
Impegnato nell’attività di organizzazione del movimento operaio, Marx riuscì a fondare nel 1864, a Londra, la “Associazione internazionale dei lavoratori”( la Prima Internazionale).
Karl Marx morì nel 1883.


Marx critico di Hegel

Il pensiero di Marx si forma a contatto e contro la filosofia di Hegel, le idee della Sinistra hegeliana, le opere degli economisti classici e quelle dei socialisti ch’egli stesso chiamerà utopisti.
Marx è pronto a riconoscere in Hegel della profondità e tuttavia il distacco di Marx da Hegel è chiaro fin dai primi scritti.
In sostanza, per Marx la filosofia di Hegel interpreta il mondo in maniera rovesciata. E’ ideologia. Hegel ragiona come se le istituzioni esistenti derivino da pure necessità razionali e legittima così l’ordine esistente come immutabile. La realtà è, secondo Marx, che Hegel fa diventare verità filosofica quelli che sono puri fatti storici ed empirici.
Marx, sferra contro Hegel due accuse principali:

  • innanzitutto quella di subordinare la società civile allo Stato,
  • e poi quella di invertire il soggetto e il predicato.

Ma, ribadisce Marx, “come non è la religione che crea l’uomo, ma è l’uomo che crea la religione, così non la costituzione crea il popolo, ma il popolo la costituzione”.


Marx critico della sinistra hegeliana

La Sinistra hegeliana è stata, almeno sino al 1843, uno dei gruppi intellettuali più vivaci e combattivi d’Europa.
La Sinistra trasformò l’idealismo in materialismo, fece della religione cristiana un fatto puramente umano e combatté la politica esistente da posizioni “democratico-radicali”. Sennonché, per Marx, ciò è del tutto insufficiente.
La convinzione che sta a base della Sinistra hegeliana è che le “vere catene” degli uomini stiano nelle loro idee .
Ebbene, nonostante le loro affermazioni rivoluzionarie, gli ideologi Giovani-hegeliani sono, per Marx, i più grandi conservatori”. Essi non combattono contro il mondo reale.
Anche la Sinistra hegeliana, come Hegel, vede il mondo rovesciato; il pensiero dei Giovani hegeliani è dunque un pensiero ideologico, come quello di Hegel.
I giovani hegeliani tengono separata la teoria dalla prassi; Marx unisce teoria e prassi.


Marx critico degli economisti classici

Marx deve molto ai lavori degli economisti classici, in quanto furono loro che gettarono le basi della teoria secondo cui il valore deriva dal lavoro.
Marx continuò la loro opera, ma là dove gli economisti borghesi vedevano dei rapporti tra oggetti. Marx scoprì dei rapporti tra uomini.
In altri termini: l’economia politica vede nelle leggi che essa mette in evidenza delle leggi eterne, delle leggi immutabili di natura. E non si avvede che in questo modo essa assolutizza e giustifica un sistema di rapporti esistenti in un determinato stadio della storia umana: è ideologia.
Dallo studio degli economisti classici Marx ricava che alla massima produzione di ricchezza corrisponde l’impoverimento massimo dell’operaio. Ebbene, l’economia politica ci dice che le cose vanno così, ma non ci dice perché vanno così, e quindi non si pone nemmeno il problema del loro cambiamento. Essa non comprende queste leggi, cioè non mostra come esse risultino dall’essenza della proprietà privata.
Marx invece cerca di spiegare il sorgere della proprietà privata, tenta di far vedere che questa è un fatto e non una legge, e tanto meno una legge eterna.
La proprietà privata è un fatto che consegue dalla alienazione del lavoro umano.


Marx critico del socialismo utopistico

Marx ed Engels distinguono il loro socialismo scientifico dagli altri tipi di socialismo. Questi altri tipi di socialismo sono il socialismo reazionario che ha più di una versione:

  • Il socialismo conservatore o borghese;
  • Il socialismo e comunismo critico-utopistico.

Costoro criticano la società capitalistica, la condannano e la maledicono. Ma non sanno trovare una via d’uscita.
A questi tipi di socialismo Marx ed Engels contrappongono il proprio socialismo “scientifico”, quello che avrebbe scoperto la legge di sviluppo del capitalismo e che quindi può venire a capo dei suoi mali.


Marx critico di Proudhon

Proudhon figura nel Manifesto del partito comunista (opera di Marx ed Engels) come esempio tipico di socialista conservatore o borghese.
Proudhon è considerato un moralista utopista, incapace di capire il movimento della storia e tanto più incapace di incidervi.
Proudhon, nel suo tentativo di eliminarne “i lati cattivi”, sostituisce l’analisi economica con l’atteggiamento moralistico: ma la realtà non si può cambiare con i desideri e le lamentazioni.
Le contraddizioni delle diverse epoche storiche non sono semplici difetti eliminabili ad opera del buon senso o del senso di giustizia: esse sono condizioni necessarie dello sviluppo sociale e del passaggio da una forma di società ad un’altra forma di società più matura.
Marx fa valere contro Proudhon l’idea che il processo storico ha una propria dinamica, determinata dal progresso tecnologico.
E la dinamica dello sviluppo storico si realizza attraverso la lotta di classe. Per questo il moralismo non serve. Le contraddizioni sociali non si risolvono eliminando una delle parti in lotta, ma solo spingendo la lotta fini in fondo.
Pertanto, la questione non sta nel dividere, come voleva Proudhon, la proprietà tra i lavoratori, ma nel sopprimerla del tutto attraverso la rivoluzione vittoriosa della classe operaia.


Marx e la critica alla religione

aveva sostenuto che la teologia è antropologia. Feuerbach risolve l’essenza religiosa nell’essenza umana. Su questo punto, su questo umanesimo materialista, Marx è d’accordo.
Tuttavia, Feuerbach, ad avviso di Marx, si è fermato davanti al problema principale e non l’ha risolto. E il problema è quello di capire perché l’uomo crea la religione.
Gli uomini alienano il loro essere proiettandolo in un Dio immaginario, solo quando l’esistenza reale nella società classista proibisce lo sviluppo e la realizzazione della loro umanità. Da ciò segue che, per superare l’alienazione religiosa, non basta denunciarla, ma occorre cambiare quelle condizioni di vita che permettono alla “ chimera celeste” di sorgere e prosperare.
E’ l’uomo che crea la religione. La religione è una coscienza rovesciata del mondo.
Esiste il mondo fantastico degli Dei perché esiste il mondo irrazionale e ingiusto degli uomini.
La religione è l’opera di un’umanità sofferente ed oppressa, costretta a cercare consolazione nell’universo immaginario della fede.


L’alienazione del lavoro

Attraverso Feuerbach, Marx passa dalla critica del cielo alla critica della terra. Quel che trova sulla terra sono uomini alienati, vale a dire espropriati del loro valore di uomini ad opera dell’espropriazione o alienazione del loro lavoro.
Se guardiamo la storia e la società, vediamo che il lavoro non viene più fatto per il bisogno di appropriarsi, insieme agli altri uomini, della natura esterna. Vediamo invece che l’uomo lavora per la sua pura sussistenza. La proprietà privata, fondata sulla divisione del lavoro, rende il lavoro costrittivo. All’operaio viene alienata la materia prima; vengono alienati gli strumenti di lavoro; gli viene alienato il prodotto del lavoro; l’operaio con la divisione del lavoro, viene mutilato nella sua creatività e umanità. L’operaio è una merce nelle mani del Capitale.
Ad avviso di Marx da questa alienazione del lavoro derivano tutte le altre forme di alienazione come quella politica (in cui lo Stato si erge al disopra e contro gli uomini concreti) o quella religiosa. Il superamento di questa situazione avviene, secondo Marx, attraverso la lotta di classe che eliminerà la proprietà privata e il lavoro alienato.


Il materialismo storico

La teoria dell’alienazione del lavoro conduce all’altra fondamentale teoria di Marx che è il materialismo storico.
Il materialismo storico consiste nella tesi secondo cui: “non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza”.
Ciò porta ad approfondire il rapporto che esiste tra struttura economica e sovrastruttura ideologica. Per Marx la produzione delle idee, delle rappresentazioni, della coscienza è direttamente intrecciata all’attività materiale e alle relazioni materiali degli uomini. In altri termini: il modo di produzione della vita materiale, ovvero la struttura economica, condiziona il processo sociale, politico e spirituale della vita, ovvero la sovrastruttura.
Questa teoria, cioè del condizionamento della sovrastruttura da parte della struttura economica, servì a Marx da filo conduttore nei suoi studi, i quali mostrarono che con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura.
L’essenza dell’uomo sta pertanto nella sua attività produttiva.
Se muta la struttura economica si avrà un correlativo sconvolgimento nella sovrastruttura ideologica. E, a grandi linee, le epoche che, ad avviso di Marx, marcano il progresso nella formazione economica della società sono i modi di produzione: asiatico, antico, feudale e borghese.


Il materialismo dialettico

Ma il materialismo di Marx è anche e soprattutto Materialismo dialettico.
Marx si ricollega alla dialettica hegeliana – intesa come sintesi degli opposti – però la capovolge. Mentre Hegel afferma la dialettica della ragione, Marx afferma invece quella della materia.
Marx rovescia la dialettica hegeliana, la trasporta dalle idee alla storia, dalla mente ai fatti, dalla “coscienza infelice” alla “realtà sociale in contraddizione”. In sostanza, a suo avviso, ogni momento storico genera nel suo seno delle contraddizioni: sono queste la molla dello sviluppo storico.
Egli sostiene che la dialettica è la legge di sviluppo della realtà storica e che tale legge esprime l’inevitabilità del passaggio dalla società capitalistica alla società comunista, con la conseguente fine dello sfruttamento e dell’alienazione.


La lotta di classe.

Secondo Marx, la storia di ogni società è storia di lotta di classi. Oppressori ed oppressi: ecco, dunque, quanto vede Marx nel travaglio della storia umana. E la nostra epoca, l’epoca della borghesia moderna, non ha affatto eliminato l’antagonismo delle classi ma lo ha, piuttosto, semplificato, dal momento che la società si va scindendo in due grandi classi direttamente contrapposta tra loro: borghesia (ovvero la classe dei moderni capitalisti, proprietari dei mezzi di produzione e assuntori di salariati) e proletariato (ovvero la classe dei salariati, i quali non avendo mezzi di produzione propri, sono ridotti e vendere la loro forza-lavoro per vivere).
La classe borghese sorge all’interno della società feudale, è la negazione di questa e la supera. La scoperta dell’America, la circumnavigazione dell’Africa, gli scambi con le colonie dettero alla intraprendente classe borghese e all’industria uno slancio mai conosciuto. L’industria, feudale o corporativa, fino allora in uso, non bastò più. Al suo posto subentrò la manifattura. Il ceto medio industriale soppiantò i maestri artigiani e fu introdotta la divisione del lavoro nella singola officina stessa. Con il crescere dei mercati, la nascita del vapore e di nuove macchine la produzione industriale venne rivoluzionata. All’industria manifatturiera subentrò la grande industria moderna e la borghesia moderna si afferma sulle classi medievali.
Tuttavia, proprio per la legge della dialettica, come la borghesia è la contraddizione interna del feudalesimo, così il proletariato è la contraddizione interna della borghesia. Difatti la proprietà privata, come ricchezza, è costretta a mantenere in essere se stessa e con ciò il suo termine antitetico, il proletariato. La borghesia produce dunque i suoi seppellitori. La dimostrazione dell’inevitabilità della vittoria del proletariato e del tramonto della borghesia Marx la offre nel Capitale.


Il capitale

L’analisi del Capitale inizia con l’analisi della merce.
La merce ha un duplice valore: un valore d’uso e un valore di scambio.
Il valore d’uso si basa sulla qualità della merce, al fatto che soddisfa un bisogno piuttosto che un altro.
Il valore di scambio è qualcosa di identico che esiste in merci differenti, rendendole scambiabili. E questo qualcosa è dato dalla quantità di lavoro socialmente necessario per produrre la merce.
Sia che lo scambio si faccia direttamente sia che si faccia attraverso la moneta, resta che una merce non si può scambiare con un’altra, se il lavoro che ci vuole per produrre la prima non è uguale al lavoro che ci vuole per produrre la seconda. Lo scambio delle merci non è tanto un rapporto tra cose, quanto un rapporto tra produttori, tra uomini e parlare della merce in sé, senza badare al fatto che essa è invece frutto del lavoro umano, significa farne un feticcio.
Il valore di scambio di una merce è dato, dunque, dal lavoro sociale necessario per produrla. Ma anche il lavoro (la forza-lavoro) è una merce che il proprietario (il proletario) vende, in cambio del salario, al proprietario del capitale (il capitalista).
Ma la forza-lavoro è una merce del tutto speciale perché oltre ad avere un suo valore è anche fonte di valore, ovvero ha la proprietà di produrre valore. Il possessore dei mezzi di produzione avendo comprato la forza lavoro ha il diritto di consumarla, cioè di obbligarla a lavorare, per es. per 12 ore. Ma in sei ore (tempo di lavoro necessario) l’operaio crea prodotti che sono sufficienti a coprire le spese del proprio mantenimento, su cui si basa il salario; mentre nelle sei ore restanti (tempo di lavoro supplementare) crea un prodotto che il capitalista non paga: e questo prodotto supplementare non pagato dal capitalista all’operaio è ciò che Marx chiama plusvalore.
Marx distingue quindi tra:

  1. capitale costante: investito per l’acquisto dei mezzi di produzione (macchinari e materie prime);
  2. capitale variabile:investito nell’acquisto di forza-lavoro.

La formula generale che rappresenta il processo di produzione capitalistico è la seguente: D-M-D’

  • D = denaro speso per l’acquisto della merce.
  • M = merce: mezzi di produzione e forza-lavoro.
  • D’ = denaro guadagnato, che grazie al pluslavore non pagato dal capitalista, sarà maggiore di D.

Inoltre è possibile l’aumento del plusvalore attraverso 2 metodi fondamentali:

  • il prolungamento della giornata di lavoro (plusvalore assoluto);
  • la riduzione della giornata di lavoro necessario (plusvalore relativo).

Il plusvalore viene reinvestito dal capitalista per non soccombere alla concorrenza. In tal modo l’accumulazione del capitale, se da una parte concentra la ricchezza nelle mani di un numero sempre minore di capitalisti, dall’altra, attraverso l’eliminazione dell’operaio per mezzo di nuove macchine, genera sempre più miseria.


L’avvento del Comunismo

La borghesia porta nel suo seno chi la porterà alla morte, ovvero il proletariato e la rivoluzione è un giorno inevitabile che segnerà il trionfo del proletariato. Per Marx quindi la produzione capitalistica genera essa stessa la propria negazione. Ed è così che si passa dalla società capitalistica al comunismo. Si tratta di un passaggio necessario ad una società senza proprietà privata e quindi senza classi, senza divisione del lavoro, senza alienazione e soprattutto senza Stato.
Questo sarebbe per Marx il comunismo autentico, che Marx nei Manoscritti del ’44 distingueva da quello “rozzo” consistente non nell’abolizione della proprietà privata ma nell’attribuzione della proprietà privata allo Stato: questa attribuzione ridurrebbe tutti gli uomini a proletari.
Il passaggio dalla società capitalista al comunismo è un passaggio graduale, di cui una fase, che però dovrebbe costituire solo una fase intermedia, è rappresentata dalla dittatura del proletariato. Successivamente si avrà il “salto nella libertà” e allora alla vecchia società borghese subentra una associazione in cui il libero sviluppo di ciascuno è condizione del libero sviluppo di tutti.