DINO CAMPANA
(1885-1932)
LA VITA
 La vita e le  opere di Dino Campana (1885-1932)  furono pervase dalla  problematica della malattia mentale.
  Sin  dall’adolescenza, Campana manifesta chiari segni di squilibrio mentale e la sua  vita divenne un continuo girovagare per manicomi. 
  A ventuno anni,  nel settembre del 1906, venne ricoverato per la prima volta nel manicomio di  Imola ricevendo la diagnosi di demenza precoce. La nevrosi della madre,  l’incomprensione da parte dei famigliari e dell’angusto ambiente di paese in  cui vive (Marradi, nell’appennino tosco-romagnolo), peggioreranno negli anni la  situazione: egli viene infatti deriso e trattato come una sorta di demente.
  Viaggerà molto,  in Europa e in Argentina, facendo i mestieri più diversi per mantenersi:  pianista in locali e bordelli, arrotino, poliziotto, pompiere ecc. E’ spesso  coinvolto in risse e arrestato per vagabondaggio.
  Tra il 1916 e il 1917 ebbe una  storia d’amore tormentata e intensa con la scrittrice Sibilla Aleramo,  terminata in seguito al temperamento sempre più incoerente e violento del  poeta. Nel 1917 fu arrestato a Novara per vagabondaggio, e il 28 gennaio fu  internato all’Ospedale psichiatrico “Castel Pulci” dove rimase sino alla morte,  nel 1932. 
  Dal 1926 incominciò a ricevere le  visite dello psichiatra Carlo Pariani, che dai suoi discorsi con Campana trarrà  il materiale per scrivere in seguito Vita  non romanzata di Dino Campana. Durante il suo soggiorno in manicomio  Campana ebbe spesso degli sprazzi di lucidità: desiderava uscire  da quel luogo, ma non per riprendere la  letteratura, ormai abbandonata (non scriveva più da tempo) ma per poter  lavorare e guadagnare. Alla fine del febbraio del 1932 si ferì, probabilmente  tentando di scavalcare la recinzione dell’ospedale: pochi giorni dopo morì di  setticemia.
LE OPERE
Dino Campana è  stato definito dai critici letterari: poeta visionario, allucinato, pazzo,  orfico, vagabondo, mediterraneo. Nella sua poesia i valori classici e una  grande modernità si compenetrano. La sua poesia è moderna ma tuttavia piena di  richiami a D’Annunzio, a Leopardi e ai classici. La sua espressione appare piena  ed ermetica: è un flusso continuo di parole, del quale non si riesce a cogliere  facilmente il senso. Il suo linguaggio poetico sconvolge l’ordine sintattico in  vari modi, anche mescolando lingue diverse. Tuttavia Campana si rivela anche  attentissimo conoscitore delle regole che sconvolge e nutre il culto per la  perfezione. 
  La sua  controversa collocazione ne ha fatto una figura contornata da un certo mistero,  per cui, quando si parla del caso Campana, si tende sempre ad associarlo  all’immagine del poeta maledetto.
  Dino  Campana,  considerato da molti il "poeta  visionario" italiano per eccellenza, può esser fatto rientrare, almeno  marginalmente, nell’ambito della corrente "vociana" (corrente che ebbe origine  dalla rivista La Voce, settimanale e  poi quindicinale di letteratura, ma anche di cultura e d’impegno politico,  civile e morale, pubblicato a Firenze tra il 1908 e il 1916), di cui,  rappresenta l’espressione legata al simbolismo ed all’espressionismo. 
  Per Campana la  poesia è un mezzo per riuscire ad affermare la propria libertà. 
  Come per la sua  vita, vagabonda e anarchica, caratterizzata dalla irrefrenabile smania del  viaggio, anche la poetica di Campana ha come tema centrale il viaggio, onirico  o reale, inteso come ricerca (o fuga).
  Nel 1913  affiderà il manoscritto dei Canti Orfici,  la sua maggiore opera, a Soffici e Papini che con negligenza lo smarriranno.  Campana lo riscriverà ricostruendolo a memoria e lo pubblicherà l’anno  seguente. L’opera verrà accolta favorevolmente dalla critica.
  I Canti Orfici sono una straordinaria  opera in cui si alternano prosa e versi (un prosimetro, come la Vita   Nuova di Dante); vi si coglie una poesia spesso tortuosa,  ma anche spontanea e pura, certamente vissuta, legata ad una esistenza  irregolare e soprattutto tragica; è un "racconto" di esperienze visionarie  denso di immagini, “
  "allucinazioni", suoni e colori. Egli dà al testo poetico  un’organizzazione che abolisce la dimensione del tempo sovrapponendo passato e  presente. La costruzione del testo appare realizzata con un procedimento che si  può definire cinematografico  che  permette a Campana di annullare la dimensione cronologica.
  La poesia  francese dell’Ottocento è una forte componente culturale di Campana e la sua  poetica risente spesso del modello degli autori francesi a lui cari: Baudelaire,  Verlaine, Rimbaud ecc.
  I Canti sono un libro in cui Campana ha  raccolto varie esperienze e vi sono riunite le sue composizioni più antiche,  come La Notte e  La Chimera,  fino alle più recenti con una formazione dell’opera per stadi successivi. 
  Il titolo Canti Orfici allude all’antico orfismo,  un movimento mistico-religioso legato al mito di Orfeo. Campana vuole dunque  riallacciarsi a forme di scrittura "magica", come quelle in voga tra gli autori  simbolisti, e vuole esprimere il carattere divino e misterioso della poesia,  associando le esperienze concrete con le invenzioni dell’inconscio e del sogno. 
  I Canti Orfici si concludono con alcune  parole in inglese in cui Campana rielabora un verso di Withman, da "Song of  Myself", in cui si adombra la morte del poeta protagonista, vista come  assassinio di un innocente: "They were all torn and covered with the boy's  blood" (Erano tutti avvolti e coperti col sangue del fanciullo). 
  Nei deliri di  Campana spesso ricorre l'idea del sacrificio violento, del mito cruento, dove  il fanciullo, l’innocente viene sacrificato. Dino Campana si sentiva così: anche  lui aveva pagato con il disprezzo, la derisione e l'internamento il suo essersi  avvicinato troppo all'intima essenza dell'uomo.
