IL GUERCINO
1591 -1666

Giovan Francesco Barbieri, detto Il Guercino (1591-1666), a causa di una menomazione all’occhio destro subita in età infantile, rappresenta, insieme a Guido Reni, l’artista più rilevante della pittura emiliana (è nato a Cento di Ferrara) del Seicento.
Fu allievo di Ludovico Carracci e rivela fin dalle sue opere giovanili, come Paesaggio al chiaro di luna o Figliol prodigo, un’attenzione particolare per gli effetti luministici e le macchie di colore.

Paesaggio al chiaro di luna

Paesaggio al chiaro di luna dipinto del Guercino

Sotto il pontificato di Gregorio XV (Alessandro Ludovisi), viene chiamato a Roma per affrescare il Casino Ludovisi (il casino era una piccola dimora signorile utilizzata come luogo di svago e sosta durante la caccia) con L’Aurora, Il Giorno e La Notte, serie di affreschi considerati il suo capolavoro.

Aurora

Aurora opera pittorica del Guercino

L’Aurora del Guercino è un affresco a tempera e rappresenta l’antitesi di quella dipinta da Guido Reni nel Casino Rospigliosi raffigurante l'Aurora, giovane Dea, che avanza su un carro tirato da due cavalli , mentre la notte fugge davanti a lei e un genio in volo, incorona Aurora di fiori mentre un altro, sul carro, sparge fiori tutt’intorno; da una parte, sul letto, è il vecchio marito Titone; in alto, tre giovani donne raffigurano altrettante stelle, una delle quali versa rugiada da un’urna.
Il carro di Eos passa velocemente sopra le architetture che vengono viste con prospettiva illusionistica aperte verso il cielo. I colori sono purissimi e culminano nella pezzatura del manto dei cavalli che con foga trainano il carro. L’impronta barocca si unisce all’influenza della pittura veneziana.
L’artista vuole rappresentare non semplicemente il sorgere di un qualunque nuovo giorno, ma allegoricamente l’alba di una nuova era di gloria per la famiglia Ludovisi.

L’attività giovanile del Guercino resterà la più valida. L’ambiente romano rappresenterà infatti per l’artista un freno riconducendolo nell’alveolo della tradizione verso quelle forme classicheggianti che non gli erano proprie.